ATTACCHI DI PANICO E PERSONALITÀ
Dott.ssa Barbara Corte, psicologa
L'attacco di panico è un'esperienza molto spiacevole e piuttosto diffusa in occidente; percentuali indicative riportano che circa il 25% delle persone soffre di disturbi d'ansia e il 10% ha riportato almeno un attacco di panico nel corso della vita.
Solitamente la persona viene "sorpresa" dall'attacco di panico, in quanto la situazione in cui si trova non viene valutata come potenzialmente ansiogena o pericolosa, per questo in primo luogo il fenomeno viene interpretato come un disagio di tipo fisico e attribuito a cause mediche.
Il panico è essenzialmente angoscia pura e semplice, apparentemente sganciata dal contesto e da qualsiasi riferimento, per questo ha un effetto paralizzante in quanto sembra in apparenza nè spiegabile né affrontabile e quindi fa sentire inermi. Questo stato di intenso disagio si accompagna spesso a sintomi fisiologici come tachicardia, sensazione di soffocamento, vertigini, giramenti di capo, cefalea, sensazione di "avere la testa vuota", vampate di calore, brividi di freddo, tremori, sudorazione. A livello psichico l'attacco di panico è accompagnato da un improvviso terrore, da una sensazione di morte incombente o di perdita del controllo delle proprie idee e azioni e il timore di stare sul punto di impazzire, perdere la coscienza. In alcuni casi il soggetto può sentirsi disorientato e avere l'impressione di vivere in una realtà diversa, strana (derealizzazione) o di non sentirsi più se stesso (depersonalizzazione).
L'attacco di panico è legato ad una serie di fattori, sia situazionali sia di personalità. Per quanto riguarda i fattori situazionali gli attacchi di panico accadono frequentemente in momenti di cambiamento (cambio di casa, di lavoro, promozione, matrimonio, nascita di un figlio) o di passaggio da una fase all'altra della vita, per esempio all'inizio dell'età adulta, quando, una volta raggiunta l'indipendenza si fa un primo bilancio tra aspettative e risultati ottenuti e si può avere ala sensazione, più o meno conscia, di aver trascurato qualche parte di sé e della propria realizzazione. Inoltre possono essere legati a perdite, separazioni o alla tendenza ad aderire alle richieste dell'esterno senza valutare attentamente i propri bisogni; oppure a conflitti interni come quello tra il proprio bisogno di dipendere e la propria necessità/paura di autonomia.
Dall'esperienza clinica spesso emerge che esistono alcuni quadri di personalità più predisposte a sintomi psicosomatici e attacchi di panico, come la personalità che possiamo definire "evitante". Tale soggetto spesso è molto intelligente e utilizza la razionalità come canale preferenziale per orientarsi nella vita (ricopre frequentemente attività lavorative di tipo scientifico/tecnico, es. ingeniere, programmatore, informatico), ponendo poca attenzione alla sua realtà emotiva e affettiva che per questo tende ad esprimersi attraverso il sintomo. La personalità evitante prova disagio a parlare di sé e delle proprie emozioni, quando gli si chiede "come stai?" tende a rispondere senza riflettere: "bene" o "normale". Spesso non ha stabilito un rapporto di intimità autentica con le figure genitoriali ma ha sempre fatto tutto da solo, per la sensazione di non potersi affidare, anzi alcune volte ha fatto il "genitore dei suoi genitori"; in questo modo ha evitato di sentire il proprio bisogno di supporto e vicinanza affettiva. In questo caso può essere utile un percorso terapeutico focalizzato sul riconoscimento e l'espressione delle proprie emozioni.
Un altro tipo di personalità predisposta all'attacco di panico è quella "fobica", che presenta conflitti tra la simbiosi all'interno di una relazione e la propria autonomia. Spesso situazioni come l'inizio o il consolidamento di una relazione affettiva, il matrimonio, la nascita di un figlio, possono fare sentire questa persona "braccata" e allo stesso tempo i suoi bisogni di autonomia possono spaventarla; in questo contesto l'attacco di panico può avere la funzione di bloccarla per proteggerla dalla paura dell'indipendenza, dell'allontanamento, della separazione.
In questo articolo ho tracciato una breve panoramica di ciò che può esprimere un attacco di panico, in modo che, attraverso l'aiuto di un esperto, la persona che soffre di attacchi di panico possa, anziché subirlo, leggere il significato che veicola, per trasformarlo da sintomo spiacevole a fonte di preziose informazioni per il proprio benessere psicologico.
L'aiuto di un esperto è inoltre importante per far sì che il sintomo non venga generalizzato e la paura che si presenti nuovamente non danneggi la propria vita affettiva, sociale e lavorativa.
NIENTE PANICO DELL'ATTACCO DI PANICO
Come si manifesta
L'attacco di panico è un'esperienza molto spiacevole e piuttosto diffusa (8% della popolazione).
A livello corporeo l'attacco di panico è caratterizzato da sintomi come tachicardia, sensazione di soffocamento, vertigini, giramenti di capo, vampate di calore, brividi di freddo, tremori, sudorazione.
A livello psichico l'attacco di panico è accompagnato da un improvviso terrore, da una sensazione di morte incombente o di perdita del controllo delle proprie idee e azioni e il timore di stare sul punto di impazzire.
Negli attacchi più gravi il soggetto può perdere il contatto con la realtà (derealizzazione) avere la sensazione di vivere in una realtà diversa o di non riconoscersi più (depersonalizzazione). La sintomatologia acuta dura da 15 a 30 minuti.
Le conseguenze del panico
La ripetizione di attacchi di panico lascia nel soggetto una paura di fondo che, se non affrontata in tempo, può far si che si strutturino gradualmente una serie di limitazioni. Dapprima il soggetto tenderà ad evitare luoghi e situazioni nelle quali teme possa ripresentarsi un attacco (come il guidare, il frequentare un supermercato, usare l'ascensore). Successivamente possono sorgere paure degli spazi aperti (agorafobia), fino ad arrivare all'evitamento delle situazioni sociali,alla paura di uscire di casa, all'isolamento e alla depressione.
Inoltre si può produrre uno stato di continua preoccupazione per la propria salute e timore di avere una grave malattia cardiovascolare.
Il messaggio dell'attacco di panico
L'attacco di panico è essenzialmente un'esperienza di angoscia pura e semplice, apparentemente sganciata dal contesto e da qualsiasi riferimento. L'angoscia è una forma di tensione che assomiglia alla paura, ma che si differenzia da questa perché manca l'esatta conoscenza della causa. In questo modo ha un effetto paralizzante, piuttosto che reattivo, in quanto si tratta di una situazione che non è spiegabile né affrontabile (in apparenza) e quindi fa sentire inermi.
Per questo è invece necessario convincersi, con l'aiuto di un esperto che il panico è affrontabile, spiegabile e risolvibile.
Rigirare la situazione: l'attacco di panico come amico
L'attacco di panico non è un sintomo slegato dal contesto, un nemico misterioso e pericoloso ma un segnale che ci avvisa che stiamo trascurando qualcosa dentro di noi o intorno a noi.
In questo senso può essere un amico che ci offre la possibilità prenderci uno spazio per interrogarci sulle nostre emozioni, che spesso non ascoltiamo, ignoriamo o controlliamo troppo, permettendoci di fermarci un attimo a riflettere su come possiamo migliorare il nostro stato di benessere.
L'ANSIA AL LAVORO
L'ansia sul posto di lavoro è una situazione piuttosto comune.
Si manifesta con una sensazione di malessere sul posto lavorativo che comprende giramenti di testa, paura di svenire o di sentirsi male, difficoltà a respirare, sudorazione eccessiva, rigidità del corpo, tachicardia, stretta alla gola.
Spesso questi sintomi sono accompagnati dalla paura di venire "scoperti", "smascherati" e fare una brutta figura con i colleghi o con il capo, oppure sbagliare, fallire.
Una caratteristica che spesso predispone all'ansia da lavoro è il perfezionismo. Questo tipo di ansia è frequente in personalità che non perdonano i propri errori, molto esigenti con sé e tendenti all'autocritica. La difficoltà ad accettare la propria fragilità, i propri limiti, la tendenza a chiedersi sempre di più per "spronarsi" e la difficoltà a riconoscere i propri successi crea uno stato continuo di tensione e ostacola l'accettazione profonda di sé.
Frequentemente queste persone, anche se ottengono riconoscimenti non riescono ad essere soddisfatte, non si nutrono dei propri successi, anzi pretendono da sé sempre di più. Gli obbiettivi che si pongono sono spesso molto alti, a volte addirittura irraggiungibili.
Un altro aspetto che predispone allo sviluppo di ansia da lavoro è la difficoltà a leggere le proprie emozioni. I propri sentimenti vengono banalizzati, screditati, ritenuti negativi o poco importanti o addirittura considerati un elemento di disturbo al pensiero razionale, che assume una posizione privilegiata, anzi diventa l'unico strumento di riferimento. Non ascoltare le emozioni crea una divisione interna, si ha la sensazione di non capirsi più, di non comprendere le proprie reazioni, di non appartenersi totalmente e di non riuscire a controllarsi. Il proprio malessere quindi viene percepito solo attraverso i sintomi dell'ansia e appare qualcosa di esterno, disgiunto dai propri significati.
Alla base dell'ansia al lavoro c'è spesso una difficoltà ad accettarsi, a perdonare i propri limiti e una tendenza a dare molta importanza al giudizio degli altri, colleghi e superiori, che bisogna compiacere. All'esterno si cerca di fornire un immagine di efficienza che rasenta l'infallibilità. Le proprie "debolezze" appaiono quindi inaccettabili, vanno nascoste, come un marchio d'infamia. Tutto ciò, spesso unito ad una buona dose di competitività crea uno stress enorme, una tensione continua.
L'ansia da lavoro genera molta sofferenza, per questo può essere utile rivolgersi ad uno psicoterapeuta, che aiuti a vivere l'ambiente lavorativo con più tranquillità.